SCIROCCO |
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(Bologna) |
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Era
una melodia, era un alito? Qualche cosa era fuori dei vetri. Aprìi la
finestra: era lo Scirocco: e delle nuvole in corsa al fondo del cielo
curvo (non c'era là il mare?) si ammucchiavano nella chiarità argentea
dove l'aurora aveva lasciato un ricordo dorato. Tutto attorno la città
mostrava le sue travature colossali nei palchi aperti dei suoi torrioni,
umida ancora della pioggia recente che aveva imbrunito il suo mattone:
dava l'immagine di un grande porto, deserto e velato, aperto nei suoi
granai dopo la partenza avventurosa nel mattino: mentre nello Scirocco
sembravano ancora giungere in soffii caldi e lontani di laggiù i riflesi
d'oro delle bandiere e delle nave che varcavano la curva dell'orizzonte.
Si sentiva l'attesa. In un brusìo di voci tranquille le voci argentine
dei fanciulli dominavano liberamente nell'aria. La città riposava del suo
faticoso fervore. Era una vigilia di festa: la Vigilia di Natale. Sentivo
que tutto posava: ricordi speranze anch'io li abbandonavo all'orizzonte
curvo laggiù: e l'orizzonte mi sembrava volerli cullare coi riflessi
frangiati delle sue nuvole mobili all'infinito. Ero libero, ero solo.
Nella giocondità dello Scirocco mi beavo dei suoi soffii tenui. Vedevo la
nebulosità invernale che fuggiva davanti a lui: le nuvole che si
riflettevano laggiù sul lastrico chiazzato in riflesi argentei su la
fugace chiarità perlacea dei visi femminili trionfanti negli occhi dolci
e cupi: sotto lo scorcio dei portici seguivo le vaghe creature rasenti dai
pennacchi melodiosi, sentivo il passo melodioso, smorzato nella cadenza
lieve ed uguale: poi guardavo le torri rosse dalle travi nere, dalle
balaustrate aperte che vegliavano deserte sull'ininito. Ero uscito: Un
grande portico roso dalle lucerne moresche: dei libri che avevo letti
nella mia adolescenza erano esposti a una vetrina tra le stampe. In fondo
la luminosità marmorea di un grande palazzo moderno, i fusti d'acciaio
curvi di globi bianchi ai quattro lati. (Le serve ingenue affacendate colle sporte colme di vettovaglie vagavano pettinate artifiziosamente la loro fresca grazia fuori della porta. Tutta verde la campagna intorno. Le grandi masse fumose degli alberi gravavano sui piccoli colli, la loro linea nel cielo aggiungeva un carattere di fantasia: la luce, un organetto che tentava la modesta poesia del popolo soto una ciminiera altissima sui terreni vaghi, tra le donne variopinte sulle porte: le contrade cupe della città tutte vive di tentacoli rossi: verande di torri dalle travature enormi sotto il cielo curvo: gli ultimi soffii di riflesi caldi e lontani nella grande chiarità abbagliante e uguale quando per l'arco della porta mi inoltrai nel verde e il cannone tonò mezzogiorno: solo coi passeri intorno che si commossero in breve volteggio attorno al lago Leonardesco). |
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