Alla Fortuna | ||
Poscia ch'al bel desir
troncare hai l'ale,
che nel mio cor sorgea,
crudel Fortuna,
sì che d'ogni tuo ben vivo
digiuna,
dirò con questo stil
ruvido e frale
alcuna parte de l'intero
male
causato sol da te fra
questi dùmi,
fra questi aspri costumi
di gente irrazional, priva
d'ingegno,
ove senza sostegno
son costretta a menar il
viver mio,
qui posta da ciascun in
cieco oblio.
Tu, crudel, de l'infanzia
in quei pochi anni,
del caro genitor mi festi
priva,
che, se non è già pur ne
l'altra riva,
per me sente di morte i
gravi affanni,
chè 'l mio penar raddoppia
gli suoi danni.
Cesar gli vieta il poter
darmi aìta. O cosa non più udita, privare il padre di giovar la figlia! Così, a disciolta briglia, seguitata m'hai sempre, empia Fortuna, cominciando dal latte e da la cuna. Quella ch'è detta la fiorita etade, secca ed oscura, solitaria ed erma tutta ho passato qui cieca ed inferma, senza saper mai pregio di beltade. E' stata per me morta in te pietade, e spenta l'hai in altrui, che potea sciorre e in altra parte porre del carcer duro il vel de l'alma stanca, che, come neve bianca dal Sol, così da te si strugge ogn'ora e struggerassi infin che qui dimora. Qui non trovo io di donna il proprio stato per te,che posta m'hai in sì ria sorte che dolce vita mi sarìa la morte. I cari pegni del mio padre amato piangon d'intorno. Ahi, ahi! misero fato, mangiare il frutto c'altri colse, amaro quei che mai non peccaro, la cui semplicità farìa clemente una tigre, un serpente, ma non già te, vèr noi più fiera e rea c'al figlio Progne ed al fratel Medea. Dei ben, ch'ingiustamente la tua mano dispensa, fatta m'hai tanto mendica che mostri ben quanto mi sei nemica, in questo inferno solitario e strano ogni disegno mio facendo vano. S'io mi doglio di te sì giustamente per isfogar la mente, da chi non son per ignoranza intesa i' son, lassa, ripresa: chè, se nodrita già fossi in cittade, avresti tu più biasimo, io più pietade. Bastone i figli de la fral vecchiezza esser dovean di mia misera madre; ma per le tue procelle inique ed adre sono in estrema ed orrida fiacchezza; e spenta in lor sarà la gentilezza dagli antichi lasciata, a questi giorni, se dagli alti soggiorni pietà non giunge al cor del re di Francia, che, con giusta bilancia pesando il danno, agguaglie la mercede secondo il merto di mia pura fede. Ogni mal ti perdono, nè l'alma si dorrà di te giammai se questo sol farai - ahi, ahi, Fortuna, e perchè far nl dèi? - che giungan al gran Re gli sospir miei. [Isabella Morra] |
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