Audite forte cosa che m'avene: eo vivo in pene stando in allegranza, saccio ch'io amo e sono amato bene da quella che mi tene in disïanza. Da lei neente vogliomi celare: lo meo tormentar [cresce], como pien è, dicresce, e vivo in foco como salamandra. Sua caunoscenza e lo dolze parlare e le belleze e l'amoroso viso, di ciò pensando fami travagliare. Iesù Cristo [creolla] in paradiso e, poi la fece angelo incarnata, tanto di lei mi 'mbardo, che mi consumo e ardo, ch'eo rinovello com' fenice face. L'omo selvagio à 'n sè cotal natura, che piange quando vede il tempo chiaro, pero che la tempesta lo spaura: simile a me lo dolce torna amaro. Ma sono amato da lei senza inganno; a ciò mia mente mira, sì mi 'nsolleva d'ira, come la tigra lo speglio isguardando. Gioia agio presa di giglio novello, sì alta che sormonta ogne ricchezza: donòmi senza noia lo più bello; pertanto non si bassa sua grandezza. A la mia vita mai non partiragio; sua dottrina m'afrena, così mi trage a lena come pantera le bestie salvage. Pogna ben cura chi ama di bon core per sofferir non perda malamente. Luntanamente m'à tirato Amore, per cui [o]maggio [è] [l]o ditto presente. Lo sofferir m'à condutto a bon porto: lo meo lavor non smonta, ma nasce e toll'e monta [ . . ] e spica e fior'e grana. [Inghilfredi] |
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